Lo dice il nome stesso: non solo un’azienda agricola, ma un vero e proprio podere, per come era concepito in antichità.
Dalla casa, passando per l’azienda e fino ad arrivare al punto vendita, si trova in località Ponte Calcaiola. È gestito da Leandro Cavicchi, titolare che ci ha raccontato la sua storia, e da una squadra di altre otto persone.
Come nasce il Podere di Monaverde?
Il podere esisteva già nella metà del 1600, e aveva già tutto. Coltivazioni di grano, orzo e vite, animali, cantine, caseifici, la casa colonica. Si pensa che il nome derivi da “Signora Verde”, la prima proprietaria che poi lo donò alla Mensa Vescovile.
Nel corso dei secoli è passato da varie proprietà, fino ad arrivare a circa 30 anni fa, quando è stato acquistato dalla mia famiglia, ormai un rudere.
L’idea di farlo ridiventare un podere, però, è stata viva fin dall’inizio. Ci sono voluti anni, ovviamente, per rimettere tutto in moto, per molto tempo è stata un’attività a conduzione familiare che bastava per i nostri fabbisogni.
Ma finalmente, arrivati al 2013, abbiamo aperto l’azienda agricola e il nostro punto vendita.
Quali sono i vostri prodotti? Come li rivendete?
Abbiamo 2.6 ettari di vigna, 700 piante di ulivo, 12 ettari di seminativi fra ortaggi e grani antichi di varietà Verna, Gentil Rosso, Frassineto e Inallettabile, e qualche albero da frutto. In più, abbiamo 50 suini, 6 vitelli di razza Limousine, 62 capre Camosciate delle Alpi, cavalli, polli e piccioni.
Da tutto questo produciamo vino Trebbiano bianco IGT. Olio extravergine, ottenuto con una macinazione a pietra in un mulino poco distante dal nostro podere. Diversi prodotti da orto come melanzane, carote, zucchine, cetrioli, barbabietole rosse, pomodori ciliegini e datterini, insalate. Farine di tipo 1, 2 e integrale, anche queste macinate a pietra, con cui facciamo pane, schiacciata, pizza, vari prodotti da forno sia salati che dolci, e anche la pasta, preparata e impacchettata nel nostro laboratorio. Ma anche conserve, passate, salse, sughi pronti, confetture, che trasformiamo sempre qui in azienda.
Dall’allevamento arriva invece la carne, e dalle capre in particolare arrivano i formaggi, la ricotta e lo yogurt, che produciamo nel nostro caseificio.
La maggior parte dei nostri prodotti la rivendiamo nel nostro spaccio, che è qui nei terreni del podere, oppure facciamo consegne a domicilio. Ogni tanto vendiamo anche ad alcuni agriturismi locali.
A proposito del vostro spaccio: è qui che avete creato la “Rete Dalla Nostra Terra”. Di cosa si tratta?
Consiste nel fatto che, nel nostro punto vendita, non rivendiamo solo prodotti del podere, ma anche quelli di altre aziende agricole del territorio che condividono la nostra visione di fare agricoltura.
Nasce con lo scopo di fare rete fra gli agricoltori, appunto. E con quello di promuovere prodotti sani, artigianali e freschi, tradizioni locali ed economia del territorio.
Qual è la vostra visione di fare agricoltura? Quali metodi utilizzate?
Tanto per cominciare, rispettiamo la stagionalità, i ritmi di natura: che sia di origine animale o vegetale, ogni prodotto ha una sua stagione e richiede un suo tempo, non è disponibile tutto l’anno.
Coltiviamo colture antiche, come nel caso dei grani. Sono più resistenti agli infestanti rispetto alle varietà commerciali, specie se coltivate insieme, e hanno proprietà nutrizionali uniche e migliori.
Utilizziamo un pozzo e un accumulo nella parte alta del podere per immagazzinare l’acqua, che poi usiamo irrigando a caduta.
Per fertilizzare usiamo il concime che ci proviene dagli animali. Facciamo delle rotazioni cereali-legumi, o anche grano-cereali per gli animali. Nel caso della vigna, fra i filari facciamo nascere il favino, che fissa l’azoto nel terreno e fornisce sostanza organica quando decompone.
Non utilizziamo pesticidi, se non quelli ammessi in agricoltura biologica. Anzi, nel caso della vigna, cerchiamo di limitare anche quelli: un po' grazie alle piante di rosa, che fanno da sentinella per parassiti, malattie, o carenze di minerali; ma soprattutto grazie a una centralina meteorologica che abbiamo installato. Così limitiamo l’utilizzo di queste sostanze solo a quando ce n’è veramente bisogno.
Per quanto riguarda gli animali, per loro abbiamo spazi ampi e puliti, dove possono muoversi come preferiscono. Quello che mangiano è prodotto qui e, se anche lo acquistiamo, proviene da aziende di cui ci fidiamo. Crescono, si nutrono e si riproducono secondo i loro ritmi di natura.
Tutto questo ci permette di creare un ciclo chiuso, dove ogni scarto viene riutilizzato, e così tutte le attività del podere si autoalimentano.
C’è chi vede tanti limiti in questi metodi: rese, tempi ed energie che richiedono, costi di produzione e di vendita, guadagno. Secondo voi è così?
Secondo noi un vero grande limite è la burocrazia. Recinti per gli ungulati, falchi contro gli storni, pannelli solari: qualsiasi soluzione sostenibile tu voglia applicare nella tua azienda, si scontra con tempi e cavilli interminabili. Di recente, ho cercato un altro terreno per allevare suini: dopo un anno di peripezie, è venuto fuori che Comune di Pistoia e ASL non sanno come fare per fornirmi un parere tecnico, e che la Regione non ha norme per fornirmi la certificazione che sarebbe richiesta.
Un altro limite è la stessa certificazione biologica. Noi ce l’abbiamo, ma più per un fatto di immagine che per altro: è una conseguenza del nostro modo di fare agricoltura, non la causa. Chi crede veramente in questo tipo di agricoltura la fa così a prescindere dall’etichetta sui suoi prodotti. Conoscere il produttore, forse, è il metodo di certificazione più efficace in assoluto.
Nel caso della Provincia di Pistoia, poi, un limite è dato dalle tante attività vivaistiche non sostenibili, che rendono difficile trovare uno spazio in cui coltivare senza rischio di contaminazione.
Quindi come può fare un agricoltore a conciliare sostenibilità ambientale e sostenibilità economica?
Sicuramente vendendo direttamente al cliente. Senza passare dalla grande distribuzione, ma attivando più canali di vendita insieme, a seconda delle proprie possibilità e attitudini: direttamente in azienda, in un proprio punto vendita, consegne a domicilio, fiere e mercati, ristorazione, eccetera.
E poi, creando una rete fra produttori, così da condividere idee, conoscenze, spazi, mezzi, costi, e quanto altro.
E come si può essere sicuri, oggi, di mangiare veramente biologico?
Secondo me, al di là di ogni etichetta, il metodo migliore è conoscere direttamente il produttore. E intendo conoscere proprio la persona, che ci mette la faccia, non soltanto l’azienda. Capire che persona è, che ideali ha, farsi raccontare e farsi mostrare il cosa, il come e il perché lo fa.
È per questo, infatti, che qui al podere organizziamo dei laboratori didattici per bambini e delle visite all’azienda: per creare consapevolezza nelle persone, e per dimostrare loro che ci crediamo veramente in quello che diciamo.
Di Enrico Becchi
Il progetto è realizzato grazie al bando "Siete Presente. Con i giovani per ripartire - 2024", a valere sul progetto “Giovanisì.it”, promosso dal Cesvot e finanziato da Regione Toscana - Giovanisì, in accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, con il sostegno della Fondazione Caript
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